Pecula tu che peculo anch’io

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Uno degli elementi cardine di ogni programma elettorale di ogni prtito nazionale è la lotta all’evasione fiscale, vista come la più importante risorsa per recuperare i fondi da destinare agli investimenti per la ripresa economica, ma pure per sostenere il traballante welfare, come anche per assicurare una maggiore efficienza dei servizi essenziali che lo Stato deve ai cittadini contribuenti, oltre che, naturalmente, ripristinare la giustizia sociale, facendo pagare a tutti quanto debbono all’erario.

Sembra proprio che sia la panacea per tutti i mali che affliggono il Paese, peccato che sia una favoletta destinata a soddisfare gli stomaci dell’opinione pubblica più incline a ragionare con gli intestini che con il cervello, perchè basterebbe fare pochi calcoli per vedere come le cifre stimate come possibili recuperi dell’evasione fiscali sono delle chimere.

In realtà la lotta all’evasione, portata avanti dalle agenzie di riscossione stampa e tanto strombazzata dalla stampa, recupera sempre risorse molto al di sotto delle previsione, per il semplice motivo che i suoi obiettivi sono la miriade di piccoli evasori, che spesso non pagano il fisco soltanto per cercare di mantenere in vita le loro attività economiche, magari esercitate completamente al nero, e che una volta incappati nelle maglie del fisco nemmeno sono in grado di pagare quanto richiesto: in realtà spesso l’azione del fisco non fa che cessare un’attività produttiva, provocando nuova disoccupazione, anche se clandestina, e un nuovo calo di ricchezza prodotta, pur se in modo illecito.

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Un paradosso, se vogliamo, ma purtroppo rale e concreto. Bisogna peraltro considerare che le agenzie di riscossione si guardano bene dal perseguire le attività dei grandi gruppi, investigando sui movimenti di capitali verso società con sede all’estero, e ignorano completamente l’attività degli enti pubblici.

Sarà infatti difficile vedere il presidente di Equitalia, dottor Atilio Befera, così attivo conro gli esercenti che non rilasciano lo scontrino, inviare lettere minacciose all’Inpdap, che non ha versato i contributi pensionistici relativi ai dipendenti statali, provocando un buco di 10 miliardi nei bilanci dell’Inps, ente con il quale l’Inpdap è stato fuso pochi mesi or sono all’interno di un piano di efficienza e risparmio che si sta rivelando una Caporetto finanziaria.

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Ma c’è di peggio, perché a volte le agenzie di riscossione i tributi li riscuotono pure, solo che non li versano a chi di dovere, cioè allo Stato (quello stesso Stato che ha evaso il fisco per più di 10 Miliardi),come è il caso dell’agenzia Tributi Italia, il cui presidente ed alcuni suoi collaboratori hanno pensato bene di tenersi i soldi versati dai cittadini per pagare l’Ici, imposta tra l’altro incostituzionale.

Che dire: pecula tu che peculo anch’io, perché ormai sembra chiaro che l’emergenza nazionale non è tanto l’evasione fiscale, o almeno non lo è quella perseguita dall’inflessibile Befera, ma il peculato, che è un reato tipico della Pubblica Amministrazione e consiste nell’appropiazione indebita di denaro pubblico che il dipendente o incaricato statale detiene per servizio.

In fine il punto debole dello Stato italiano si rivela essere la sua stessa struttura, che appare un colabrodo nei suoi strumenti di controllo, e nella qualità degli uomini chiamati a rappresentarlo, siano essi politici eletti o funzionari vincitori di concorso o nominati da un ente pubblico.

Un comportamento, quello dell’Inpdap e, in ultima analisi, dello Stato, che non sarebbe stato perdonato a nessun imprenditore privato che non avesse versato i contributi per i suoi dipendenti, ma del quale Equitalia e Befera non sembrano essersi nemmeno accorti.

Chissà che al professore Mario Monti non venga in mente, dopo le tristi vicende che arrivano ogni giorno dalle sedi dei consigli regionali e quelle che provengono da qualsivoglia ente statale, non arrivi a capire che sarebbe ora di dare una stretta al funzionamento della burocrazia pubblica, un oganismo pachidermico quanto inefficiente, corrotto, putrefatto e perfino dannoso per l’economia nazionale.

Per ora in realtà non sembra proprio che al governo sia sia intenzionati ad agire su questo versante, verso il  quale tutti hanno sempre mostrato un vero e proprio timore riverenziale, quasi pensando che il voto degli statali, parastatali e dei loro familiari sia l’unico che decida il vincitore delle elezioni, che in fondo quello dei poveracci tartassati può essere sempre comprato con poco.

Di fronte però a simili disastrose prove di disonestà, maramalderia e rozza megalomania sarebbe il caso di fare qualcosa, anche per placare l’irritazione di tanti che, perfino in un Paese tutto sommato pacifico come il nostro, potrebbero alla fine portare anche manifestazione violente.