Non sempre la verità è rivoluzionaria

Stefano Fassina

Stefano Fassina

Potrà forse apparire un po’ blasfemo prendere in prestito una frase del forse già troppo dimenticato Leonardo Sciascia, per commentare le polemiche che sono seguite alla dichiarazione dell’On. Stefano Fassina, esponente del Partito Democratico e suo responsabile per i temi economici.

L’affermare che in Italia esiste una “evasione fiscale da sopravvivenza” gli ha attirato una tale valanga di critiche che Fassina si sarà già tagliato la lingua, in modo da evitare di ripetere un infortunio simile.

Eppure il deputato progressista non ha fatto altro che  confermare quello che tutti gli italiani sanno e che i numeri forniti dai vari uffici dello Stato preposti e dall’Istituto Centrale di Statistica ci forniscono ogni giorno.

Numeri drammatici che illustrano i devastanti effetti di una crisi economica che non solo non accenna a placarsi, ma che si aggrava progressivamente, grazie anche alla politica di “rigore” imposta dalla UE e dalla Germania e pedissequamente applicata prima dal governo del professor Mario Monti e oggi da quello di Enrico Letta. Del resto entrambi i personaggi sono espressione degli stessi ambienti politico finanziari.

Le piccole imprese commerciali ed artigianali sono ormai allo stremo soffocati tra la morsa di una pressione fiscale a livelli insostenibili e il calo dei consumi dovuto alla crisi globale,  per salvarsi dalla fallimento non possono che rifugiarsi nell’evasione fiscale. Una verità lapalissiana che però, detta da un esponente del PD come Fassina ha fatto discutere. La cosa triste però è che ha fatto discutere per il motivo sbagliato. Quello che si contesta a Fassina non è infatti quello di aver detto una cosa falsa, ma di aver confermato quello che l’odiato nemico, almeno a parole, Berlusconi va ripetendo da sempre.

Un peccato mortale, quello di Fassina, che l’esponente democratico dovrà pagare caro, esposto com’è agli insulti di un popolo abituato ormai da decenni a vilipendere qualunque cosa che, soprattutto certa stampa, gli addita come “berlusconiano”.

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Enrico Letta

L’evasione fiscale di sopravvivenza è pertanto una verità, ma non è rivoluzionaria, per cui non si deve rivelare, mentre si può e si deve sermoneggiare sulla lotta all’evasione fiscale e ai paradisi fiscali, come aveva fatto il giorno prima il premier Enrico Letta,  quando aveva affermato che abbasserà la pressione fiscale con i proventi, appunto, della lotta all’evasione fiscale, che sarà condotta con fermezza e severità.

Abbiamo già sentito questa promessa? Bhè si, l’abbiamo sentita decine di volte e tutte le volte si è infine capito che era solo un modo di dire che non c’era intenzione di tagliare nessun spreco e spesa superflua dai bilanci dello Stato (la spending review si è ormai persa nelle nebbie dei palazzi romani), mentre la lotta all’evasione fiscale, quella vera dei grandi capitali che transitano nei forzieri dei cosiddetti paradisi fiscali, non necessariamente posi in latitudini esotiche, è sempre rimasta una chimera, mentre i contribuenti comuni venivano sottoposti a continue spremute di sangue.

Naturalmente sappiamo benissimo che l’attuale PD è ben altra cosa di quel Partito Rivoluzionario immaginato dallo scrittore siciliano nell’ormai lontanissimo 1971 nel suo romanzo (parodia) Il Contesto, poi portato sullo schermo cinematografico da Francesco Rosi col titolo di Cadaveri Eccellenti, nel 1976.

Il PD non solo non ha alcuna intenzione di fare rivoluzioni, ma è da tempo, almeno dal giorno del crollo del muro di Berlino e dell’intero sistema sovietico, che si è fatto esecutore fedele dei voleri della grande finanza internazionale, portando con i suoi governi e i suoi leaders (Prodi, Ciampi, D’Alema) i cittadini italiani  al sacrificio sull’altare dell’Euro, la moneta del demonio.

La reazione degli esponenti del PD, che hanno duramente rampognato Fassina per le sue affermazioni, e del foltissimo branco dei cani di Pavlov addestrati a reagire furiosamente al solo udire la parola Berlusconi (ma anche Nano, Banana etc.) non lascia alcuna speranza sulla possibilità che il governo in carica devii dalla strada imposta dai poteri esterni, anzi. Pochi giorni fa il ministro dell’economia Fabrizio Saccomanni, l’uomo della BCE nel governo italiano, ha sondato l’opinione pubblica proponendo di ridurre il debito pubblico con la cessione delle partecipazioni dello Stato in aziende come ENI, ENEL e Finmeccanica. la reazione del pubblico non è stata incoraggiante e il ministro si è affrettato a fare marcia indietro, ma non c’è da dubitare che la questione tornerà presto sul tappeto.

Fabrizio Saccomanni

Fabrizio Saccomanni

Del resto sapevamo benissimo che l’obiettivo finale era quello di svendere il patrimonio dello Stato, ovvero dei cittadini italiani, ai soliti amici degli amici. Un copione che ormai tutti noi conosciamo bene, dopo essere stati testimoni di tante cosiddette privatizzazioni che hanno arricchito solo imprenditori italiani e stranieri e che non hanno portato ai cittadini nessuno dei vantaggi promessi.

Scottati dalle precedenti esperienze però, gli italiani sembrano ora molto restii a sopportare una nuova predazione delle loro ricchezze, anche in assenza del panfilo Britannia nel porto di Civitavecchia. Resta solo da vedere cosa il governo guidato da Letta si inventerà per riproporre la svendita e sono in tanti a temere l’arrivo di un nuovo attacco finanziario contro l’Italia, analogo a quello avvenuto nel 2011 per portare Mario Monti al governo. Siamo però fiduciosi che nel caso davvero avvenisse sarebbe quello l’ultimo atto di una classe dirigente collusa con il nemico e indegna di rappresentare il suo popolo.

 


Venduti a un Duce venduto

Maclodio

Il Genio di Alessandro Manzoni, del quale spero sia inutile fare le presentazioni, può aiutare a far comprendere anche ai più riottosi lo stato in cui si trova oggi (o forse sempre) il nostro paese.

Da tempo sappiamo che sono in realtà i grandi artisti e letterati a saper scorgere i più minuti dettagli sia delle vicende umane sia di quelle di intere Nazioni e che certi romanzi e tragedie sono più esplicativi dei più celebrati trattati di storia, di anropologia, sociologia o psicologia.

Nel caso dell’appena battuta dalle agenzie notizia che il ministro del Tesoro Saccomanni ha aperto alla possibilità della vendita delle partecipazioni statali nei colossi industriali dell’Eni, Enel e Finmeccanica (notizia che certo non ci sorprende) ci son immediatamente venuti alla mente i famosi versi che Manzoni scrisse per la sua tragedia dedicata a Francesco Bussone detto il Carmagnola, brillante condottiero italiano del 1500, con i quali descrive si la battaglia di Maclodio, ma soprattutto lo stato in cui versavano le signorie italiane in quegli anni. Una descrizione che può in realtà essere pari pari riproposta per i nostri tempi non meno bui.

Tanta è la paura che anche l’epilogo delle vicende contemporanee sia il medesimo di quelle cinquecentesche. Allora furono le guerre e gli eserciti stranieri a stroncare le meraviglie del Rinascimento italiano, a oscurare la brillantezza delle corti principesche, a far perdere la libertà ai popoli della penisola e ad avviare l’impoverimento economico e culturale che ridurrà l’Italia al rango di paese più povero e arretrato dell’Europa intera.

Le guerre di oggi non si combattono con gli eserciti, ma con strumenti finanziari e ingerenze politiche. Questo non significa però che i loro effetti siano meno disastrosi.

Basta solo guardarsi attorno e vedere come nell’indifferenza generale l’Italia s’impoverisce ogni giorno di più, di come sia ripresa l’emigrazione verso l’estero e, soprattutto, di come tante aziende italiane, anche le più antiche e gloriose, passano sempre in maggior numero in mani straniere.

Un declino economico e culturale inarrestabile, guidato dai nostri stessi ministri, quelli che dovrebbero governare per soddisfare i bisogni dei cittadini, ma che sono evidentemente occupati a fare altro, anche perché spesso nominati direttamente dai centri si potere internazionali, i soli ai quali si sentono di rispondere.

Ecco i versi del gran Lombardo, che vanno molto oltre gli squilli di tromba che tutti ricordano e sui quali molto si dovrebbe meditare.

S’ode a destra uno squillo di tromba;

a sinistra risponde uno squillo:

d’ambo i lati calpesto rimbomba

da cavalli e da fanti il terren.

Quinci spunta per l’aria un vessillo;

quindi un altro s’avanza spiegato:

ecco appare un drappello schierato;

ecco un altro che incontro gli vien.

Già di mezzo sparito è il terreno;

già le spade rispingon le spade;

l’un dell’altro le immerge nel seno;

gronda il sangue; raddoppia il ferir.

Chi son essi? Alle belle contrade

qual ne venne straniero a far guerra?

Qual è quei che ha giurato la terra

dove nacque far salva, o morir?

– D’una terra son tutti: un linguaggio

parlan tutti: fratelli li dice

lo straniero: il comune lignaggio

a ognun d’essi dal volto traspar.

Questa terra fu a tutti nudrice,

questa terra di sangue ora intrisa,

che natura dall’altre ha divisa,

e ricinta con l’alpe e col mar.

– Ahi! Qual d’essi il sacrilego brando

trasse il primo il fratello a ferire?

Oh terror! Del conflitto esecrando

la cagione esecranda qual è?

– Non la sanno: a dar morte, a morire

qui senz’ira ognun d’essi è venuto;

e venduto ad un duce venduto,

con lui pugna, e non chiede il perché.

– Ahi sventura! Ma spose non hanno,

non han madri gli stolti guerrieri?

Perché tutte i lor cari non vanno

dall’ignobile campo a strappar?

E i vegliardi che ai casti pensieri

della tomba già schiudon la mente,

ché non tentan la turba furente

con prudenti parole placar?

– Come assiso talvolta il villano

sulla porta del cheto abituro,

segna il nembo che scende lontano

sopra i campi che arati ei non ha;

così udresti ciascun che sicuro

vede lungi le armate coorti,

raccontar le migliaia de’ morti,

e la pieta dell’arse città.

Là, pendenti dal labbro materno

vedi i figli che imparano intenti

a distinguer con nomi di scherno

quei che andranno ad uccidere un dì;

qui le donne alle veglie lucenti

de’ monili far pompa e de’ cinti,

che alle donne diserte de’ vinti

il marito o l’amante rapì.

– Ahi sventura! sventura! sventura!

Già la terra è coperta d’uccisi;

tutta è sangue la vasta pianura;

cresce il grido, raddoppia il furor.

Ma negli ordini manchi e divisi

mal si regge, già cede una schiera;

già nel volgo che vincer dispera,

della vita rinasce l’amor. Come il grano lanciato dal pieno

ventilabro nell’aria si spande;

tale intorno per l’ampio terreno

si sparpagliano i vinti guerrier.

Ma improvvise terribili bande

ai fuggenti s’affaccian sul calle;

ma si senton più presso alle spalle

anelare il temuto destrier.

Cadon trepidi a pié de’ nemici,

gettan l’arme, si danno prigioni:

il clamor delle turbe vittrici

copre i lai del tapino che mor.

Un corriero è salito in arcioni;

prende un foglio, il ripone, s’avvia,

sferza, sprona, divora la via;

ogni villa si desta al rumor.

Perché tutti sul pesto cammino

dalle case, dai campi accorrete?

Ognun chiede con ansia al vicino,

che gioconda novella recò?

Donde ei venga, infelici, il sapete,

e sperate che gioia favelli?

I fratelli hanno ucciso i fratelli:

questa orrenda novella vi do.

Odo intorno festevoli gridi;

s orna il tempio, e risona del canto;

già s’innalzan dai cori omicidi

grazie ed inni che abbomina il ciel.

Giù dal cerchio dell’alpi frattanto

lo straniero gli sguardi rivolve;

vede i forti che mordon la polve,

e li conta con gioia crudel.

Affrettatevi, empite le schiere,

sospendete i trionfi ed i giochi,

ritornate alle vostre bandiere:

lo straniero discende; egli è qui.

Vincitor! Siete deboli e pochi?

Ma per questo a sfidarvi ei discende;

e voglioso a quei campi v’attende

dove il vostro fratello perì.

Tu che angusta a’ tuoi figli parevi,

tu che in pace nutrirli non sai,

fatal terra, gli estrani ricevi:

tal giudizio comincia per te.

Un nemico che offeso non hai,

a tue mense insultando s’asside;

degli stolti le spoglie divide;

toglie il brando di mano a’ tuoi re.

Stolto anch’esso! Beata fu mai

gente alcuna per sangue ed oltraggio?

Solo al vinto non toccano i guai;

torna in pianto dell’empio il gioir.

Ben talor nel superbo viaggio

non l’abbatte l’eterna vendetta;

ma lo segna; ma veglia ed aspetta;

ma lo coglie all’estremo sospir.

Tutti fatti a sembianza d’un Solo,

figli tutti d’un solo Riscatto,

in qual ora, in qual parte del suolo,

trascorriamo quest’aura vital,

siam fratelli; siam stretti ad un patto:

maledetto colui che l’infrange,

che s’innalza sul fiacco che piange,

che contrista uno spirto immortal!