Buon sobrio Natale a tutti

Natale-sobrio

Natale-sobrio

Anche per quest’anno il Natale è passato. Il Natale per eccellenza, il giorno della nascita di Gesù il Cristo Salvatore,  posto al 25 di Dicembre per coprire quella che probabilmente era la festività più antica e sentita nel mondo pagano, legata all’equinozio d’inverno all’allungarsi delle ore diurne  che manifestavano la “rinascita” del Sole, il datore di vita e primo dio di ogni religione arcaica.
Una festa che da religiosa ha assunto, specialmente dal dopoguerra, un aspetto principalmente commerciale, divenendo una corsa al regalo più costoso e appariscente, mentre la stessa storia della nascita del Cristo serviva solo da fondale per gli spot pubblicitari, mentre il ruolo di protagonista veniva preso da un anziano signore sovrappeso e con una grande barba bianca, completamente vestito di rosso e che sappiamo essere un impiegato della Coca Cola, la multinazionale americana delle bibite gassate.
Ma questo Natale 2012  potrebbe aver segnato un’inversione di tendenza, o almeno una traccia da seguire per alcuni anni, perché è stato un Natale molto più sobrio e minimalista, ad immagine del governo tecnico che l’ha prodotto.
Sono i giornali di questa mattina a raccontarci della caduta verticale dei consumi e dipingono quello appena trascorso “il Natale peggiore degli ultimi dieci anni”, almeno sotto il profilo dei consumi, ospitando le lagnanze delle associazioni dei commercianti, che lamentano un giro d’affari crollato del 20% rispetto agli anni passati.

monti-babbo-natale

Non sarebbe neanche servito il Natale, in realtà, per capire quanto la crisi economica e l’imposizione fiscale ormai a limiti intollerabili abbiano colpite le tasche degli italiani, un popolo ormai allo stremo, ma la cosa ancora più grave è che le medie pubblicate sui quotidiani non riescono a dar conto di una situazione che è ancora più drammatica di quella che possono descrivere le statistiche, quella di sempre più famiglie e individui che al di là di consumare meno non riescono ormai protio a consumare nulla, come dimostrano le file alla mensa della caritas e delle altre istituzioni caritatevoli. Una realtà che appare lontanissima dalla visuale dello stesso sobrio ed elegante governo tecnico (nonostante la presenza tra i suoi ministri di Andrea Riccardi, che invece di queste cose ne sa molto) che non intende minimamente recedere dalle politiche recessive intraprese.
A questo punto è facile prevedere un 2013 non molto diverso dall’anno che stiamo lasciando, considerando che dalle prossime elezioni con tutta probabilità non uscirà un partito o una coalizione chiaramente vincente e con una maggioranza solida che gli possa garantire di governare con la necessaria tranquillità e che la riedizione del governo tecnico a guida Mario Monti, voluta dai poteri forti nazionali e internazionali, sembra inevitabile.

Agli italiani allora non resta che pregare, così almeno le radici autentiche delle festività di fine anno saranno rinverdite, sperando nel miracolo!


Il Financial Times certifica la crisi dell’Europeismo

financial-times-o

Il prestigioso quotidiano economico britannico pubblica oggi un articolo nel quale sono riportati i risultati di alcuni sondaggi tenuti in vari paesi europei che dimostrano come in pochi mesi l’adesione all’idea di Europa Unita, tanto cara a tanti editorialisti, non sia più molto popolare tra i cittadini, specialmente quelli dei paesi più colpiti dalla crisi economica.
Inutile cercare però riferimenti all’articolo sui siti dei giornaloni nazionali che fino a ieri sembrava ritenessero il quotidiano finanziario una sorta di Vangelo dal quale trarre ispirazione per la loro condotta. Unico giornale a riportare la notizia è invece proprio Il Giornale di Milano (ripreso dal sito Dagospia), di proprietà di Paolo Berlusconi, fratello del più noto Silvio, in un curioso scambio dei ruoli, rispetto al solito andazzo della stampa nazionale.

Il corpo principale dell’articolo è infatti dedicato alla situazione italiana, descrivendo un’opinione pubblica ormai in larga parte convinta che Monti altri non sarebbe che un fantoccio del governo tedesco, e che gli italiani, duramente colpiti dalle politiche di austerità imposte dal governo dei tecnici e volute dall’arcigna cancelliera Merkel, sono ormai talmente insofferenti dell’egemonia tedesca da far ritenere l’esito delle prossime elezioni politiche molto più incerto di quanto si potesse prevedere solo fino a qualche settimana fa.

Ma non è solo in Italia che i sostenitori della UE perdono colpi: Greci, Spagnoli e Portoghesi sono ormai in gran parte convinti di essere le vittime designate dell’egemonia germanica, mentre Tedeschi e Francesi rimangono sostanzialmente europeisti, ma solo se a decidere delle sorti di tutti siano soltanto i loro governi.

Time1

Appena qualche giorno fa è stato invece il primo ministro inglese David Cameron ad assestare un duro colpo all’idea dell’Europa Unita, o almeno di questa idea di Europa Unita, avanzando l’ipotesi di un clamoroso abbandono dell’unione da parte del Regno Unito. D’altra parte l’adesione dei britannici era stata sempre molto guardinga e attenta a non trasferire troppa sovranità nazionale alle commissioni di Bruxelles e si sono ben guardati di adottare la moneta unica e perdere il controllo della propria valuta concedendolo alla BCE.
L’uscita di Cameron non può e non deve essere una sorpresa, perché da sempre l’opinione pubblica britannica nutre una notevole antipatia verso la UE, tanto che ogni tanto rispunta in Gran Bretagna l’idea di un referendum popolare per decidere se abbandonare definitivamente l’Unione. Il primo ministro deve pertanto tener conto dell’umore dei suoi concittadini, anche se ha specificato che la sua opzione preferita è quella di far rimanere il paese nella UE, pur con tutti i distinguo che in questi mesi ha fatto sui tanti provvedimenti presi a Bruxelles, come quelli sui bilanci pubblici.

In conclusione, sembra proprio che le fondamenta dell’Unione Europea scricchiolino sempre di più e non si può escludere che nei prossimi mesi accadano avvenimenti che potrebbero ribaltare tutte le certezze sul suo futuro.


Italia: un declino censito

Italia paese sgarrupato

Italia paese sgarrupato

Sono stati pubblicati in questi ultimi giorni alcuni dati statici, incluso il rilevamento dell’ultimo censimento della popolazione tenuto nel 201, che tutti insieme confermano, se ce ne fosse ancora bisogno, di come l’Italia sia incamminata verso un declino che appare irreversibile. Irreversibile non perché impossibile da arginare e arrestare, ma perché nessuno sembra avere intenzione di farlo, per ragioni che è pure facile intuire. Alcuni infatti ritengono che non di declino e decadenza si tratti, quanto di un naturale cambiamento che porterà in futuro grandi benefici, mentre per altri semplicemente non vale la pena di dannarsi tanto contro il corso degli eventi voluto e controllato da chi detiene il vero potere che conta ai nostri tempi, il denaro; i più, infine, preferiscono consumare gli ultimi brandelli di abbondanza, lasciando alle prossime generazioni il compito di lottare, se ne avranno la forza, la capacità e il coraggio per farlo, per risollevare le sorti di un antico popolo che appare ormai prosciugato di energie.

Il censimento ci ha reso il ritratto di un’Italia invecchiata, più povera e meno popolata da italiani, che fanno sempre meno figli. Sono invece triplicati gli stranieri presenti sul territorio nazionale, e sono loro, nonostante la crisi economica, gli elementi più vitali, almeno per voglia di sopravvivere, come dimostra il dato sull’occupazione lavorativa. Nonostante nel nostro paese il numero di stranieri è ancora piccolo, rispetto agli altri grandi stati europei, in percentuale contribuiscono al PIL nazionale (la produzione di ricchezza, che vale la pena ricordarlo è sempre minore) e l’Italia è l’unico paese d’Europa in cui la loro occupazione supera il valore medio della popolazione residente.
Un dato che dovrebbe già da solo far riflettere, specialmente confrontato con il progressivo aumento della disoccupazione giovanile e femminile tra i nostri concittadini, e che fa giustizia dello stereotipo del migrante che si occupa in quelle posizioni lavorative rifiutate dagli italiani e fa invece comprendere come la mano d’opera straniera, disposta ad accettare di impiegarsi accettando una minor retribuzione e minori, se non assenti, garanzie assicuratrici, sta di fatto cancellando le conquiste sindacali conquistate in 75 anni di Repubblica e accendere una concorrenza tra poveri per l’occupazione. Sono infatti ormai tanti anche gli italiani che, di fronte al bisogno e alla concorrenza straniera, si assoggettano a condizioni lavorative da romanzo Dickensiano.

Charles Dickens's Oliver Twist

Charles Dickens’s Oliver Twist

Il quadro desolante è reso completo dall’abbandono delle grandi imprese manufatturiere, che per reagire allo svantaggio competitivo dovuto all’adozione della moneta unica, preferiscono de-localizzare le unità produttive in paesi che offrono condizioni più vantaggiose dal punto di vista fiscale e una manodopera più a buon mercato. Dall’altro lato, l’elevatissima pressione fiscale, l’inefficienza e l’inefficienza e la corruzione della pubblica amministrazione respinge gli investimenti dall’estero, condannando il paese alla deindustrializzazione.

Un dato che ha fatto molto scalpore e molto discutere sui network sociali e sui siti in rete dei principali media nazionali, è invece quello dell’inutilità del titolo di studio per trovare un lavoro qualificato. La notizia è stata data in modo da far intendere il fenomeno come l’inutilità di continuare gli studi e laurearsi, quando è più facile trovare un lavoro subito dopo il diploma di scuola media superiore, ma è evidente che il dato deve essere letto, al di là delle polemiche sui corsi di laurea inutili che infestano le università italiane, nella quasi impossibilità di riuscire ad ottenere un’occupazione altamente qualificata, se non si è già integrati nelle realtà sociali che esprimono la cosiddetta classe dirigente. Evidente segno che il cosiddetto ascensore sociale, che in Italia ha sempre funzionato poco, ha rarefatto ancor di più le sue corse.

Le difficoltà economiche, soprattutto quelle dei più giovani, si ripercuotono pesantemente sulla qualità della vita civile del paese, nel quale diminuiscono i matrimoni e il tasso di natalità (tipico indicatore delle fasi di decadenza di una società), mentre aumentano le separazioni e i reati predatori (furti e rapine).
Lo Stato, dal canto suo, a fronte delle sempre più ingenti risorse drenate dai privati, ormai costretti ad intaccare i risparmi familiari accumulati da diverse generazioni, fornisce servizi sempre più scadenti.

Un quadro, quello sopra dipinto, che riproduce un panorama italiano desolante, ma nonostante tutto c’è chi invita a proseguire nell’opera intrapresa per renderlo tale, magari fornendo al pubblico un cloroformizzante Benigni in prima serata televisiva che rassicuri che noi abbiamo “la più bella di tutte” (ma forse si riferiva Monica Bellucci).


La Costituzione e i suoi partigiani

costituzione_

La Costituzione di uno Stato, come tutti dovrebbero sapere, è la sua legge fondamentale, la base sulla quale è costruita e misurata ogni altra legge o regolamento; la Carta Costituzionale contiene pertanto i principi generali dell’ordinamento che in nessun caso devono essere violati, seguendo la formula che le leggi e i regolamenti promulgati dal legislatore e dagli enti preposti non possono violare “le norme imperative (ovvero le Costituzionali) l’ordine pubblico e il buon costume”. La Costituzione costituisce dunque, con le sue norme, la pietra angolare dell’ordinamento giuridico di uno Stato e come tale deve essere tutelata, dal momento che i suoi principi garantiscono ai cittadini l’esercizio dei diritti di cittadinanza: ma cosa accade quando le norme costituzionali, o parte di esse , appaiono vetuste e non al passo dei tempi, tanto da provocare più danni che tutelare i diritti dei cittadini?
Naturalmente le legislazioni di tutti i paesi contengono gli strumenti per adeguare le carte costituzionali al mutare dei tempi. Le cose sono anche abbastanza semplici in quelli che hanno adottato dei modelli costituzionali cosiddetti flessibili, perché modificabili attraverso leggi ordinarie, più complicate in quelli che hanno invece adottato costituzioni rigide, modificabili solo attraverso procedure lunghe e complesse, quasi impossibile in Italia, che più che una Costituzione rigida pare essersi dotata di una Costituzione eternamente immodificabile (ma solo apparentemente, come vedremo in seguito).

ingroia-partigiani-della-costituzione-510

Da molti anni si discute in Italia della necessità di adeguare la Carta Costituzionale che, approvata dall’Assemblea Costituente il 22 Dicembre del 1947, all’indomani di una disastrosa sconfitta bellica e sulle macerie lasciate da una dittatura, appare a molti inadeguata in alcune sue parti e bisognosa di essere aggiornata. Sempre però, ad ogni proposta di modifica costituzionale, sorgono polemiche feroci e, ultimamente un vero e proprio partito dei “Partigiani della Costituzione”, che ha fatto della Carta Costituzionale un  feticcio da sventolare come arma politica, contro i nemici accusati di tradire lo spirito democratico e antifascista dei padri fondatori.
In realtà, a ben guardare, la Costituzione è già stata ritoccata più volte e pure con formalità tutt’altro che limpide, com’è accaduto il 08 marzo del 2001, quando il Titolo V, inerente alla disciplina delle autonomie locali fu approvata con una maggioranza inferiore a quella richiesta dalla legge, a dimostrare che in fondo se si vuole si può fare qualunque cosa, ma anche che forse c’è chi può farlo e chi no e che si possono cambiare alcune cose e altre no. La contestata riforma ha peraltro causato i danni che stiamo osservando proprio in questi giorni, attribuendo agli enti locali una tale autonomia che i politici locali, in special modo quelli eletti nei consigli regionali, hanno potuto distribuirsi ogni sorta di prebenda senza alcun controllo esterno. Da notare pure che le proposte avanzate per riformare quello che è stato tanto maldestramente già riformato, vengono tutte respinte dalle assemblee regionali, pronte a difendere fino alla morte i privilegi che si sono auto concessi.Il dubbio che la difesa della Costituzione nascondi più che altro la difesa di interessi corporativi a questo punto diventa legittimo, anche perché negli ormai 75 anni della sua esistenza non tutti i suoi articoli sono stati di fatto messi in atto. Pensiamo solo all’art 39 che stabilisce per i sindacati, ma dovrebbe farlo anche per i partiti, l’acquisto della personalità giuridica, da sempre disatteso  insieme alle conseguenze che comporterebbe la sua applicazione.

Perché quelli che molti non sanno, e sono tanti quelli che parlano della Costituzione senza in realtà conoscerla, è che il contenuto della Carta non si ferma all’enunciazione degli alti principi espressi nei primi articoli (L’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro etc.) ma di ben 139 articoli, più le disposizioni finali e transitorie, con le quali disegna tutta l’organizzazione delle istituzioni dello Stato e che non si può, solo per fare un esempio, disporre il dimezzamento del pletorico numero dei parlamentari, senza una riforma costituzionale.

Roberto Benigni nuovo Vate nazionale

Roberto Benigni nuovo Vate nazionale

Ma salire su un palco e gridare che si è li per difendere la Costituzione, come partigiani di nostri giorni, fa prendere facili applausi e usare un celebre comico di regime, ultimamente in verità un po’ bollito, per convincere il popolino che la Costituzione Italiana è “la più bella del mondo”, come ha fatto ieri sera in televisione un lautamente ricompensato, con soldi pubblici, Roberto Benigni, che dopo essersi vestito dei panni del Dantista alla rustica ha indossato pure quello del Costituzionalista alla Balanzone, pure serve a far rimanere tutto com’è, alla faccia dei tanti che s’impegnano duramente per tentare di migliorare le sorti di questo paese incamminato sulla strada di una triste decadenza.


Il grande ritorno del Burlador de Arcore

El Burlador de Arcore

El Burlador de Arcore

Per l’atteso rientro nell’agone politico Silvio Berlusconi ha preferito giocare in casa, offrendosi alle domande addomesticate di Barbara D’Urso, conduttrice del programma pomeridiano della Domenica di Canale Cinque, l’emittente ammiraglia della Mediaset di proprietà di…Silvio Berlusconi.

Il popolare Banana ha fatto naturalmente un figurone, mostrando l’immagine di un uomo serio e ponderato, molto lontana da quella offerta con le confuse e altalenanti prese di posizione dei giorni scorsi, e un reprobo fresco fidanzato in casa e sulla via del completo risanamento, dopo essere, a suo dire, sprofondato in una vita di banchetti e festini, eleganti però, per colpa della solitudine e delle cattive compagnie.

Berlusconi ha insomma fatto di tutto per cercare di ricostruirsi un’immagine decente, dopo gli scandali degli ultimi anni, tentando di recupera anche il sostegno di quanti sono legati ai valori tradizionali della famiglia e del decoro, che non sono pochissimi, ma non ha mancato di lanciare l’affondo politico contro i suoi veri o possibili futuri avversari elettorali, riproponendo un cavallo di battaglia finora sempre vincente: l’abolizione dell’Imu, ex Ici (già da lui abolita ma riproposta dal governo di Mario Monti) e la promessa di abbassare le tasse nel caso dovesse uscire vincitore dalle prossime elezioni.

dUrso_pomeriggio-cinque

Barbara D’Urso: “Non sono stata accomodante”.

Lo stile amichevole scelto per dalla D’urso per intervistare l’ex premier ha naturalmente scatenato reazioni sarcastiche e ironiche da parte dei grandi e piccoli, veri e presunti protagonisti dell’informazione, i quali prima di fare battutine sul servilismo degli altri dovrebbero prima farsi un bell’esame di coscienza e pensare a cosa farebbero, se ancora non l’hanno fatto, loro se gli dovesse d’intervistare il proprio editore.

La cosa più importante dell’intervista di Domenica pomeriggio è stata invece quella di vedere un Berlusconi più che mai deciso a perseguire una campagna elettorale sui temi che da sempre sono stati i punti di forza dei suoi programmi politici, mettendosi pertanto in rotta di collisione con i provvedimenti che il Governo Monti ha fino ad ora promosso e questo nonostante si dica pronto a sostenere la candidatura del professore, qualora questi si impegnasse nel fare il leader di una coalizione di centrodestra.
Il perché è chiaro: Berlusconi sa benissimo che le politiche portate avanti da Monti sono impopolari e che abbracciarle significherebbe alienarsi definitivamente le simpatie di gran parte dell’elettorato che lo ha sempre sostenuto e anche perché probabilmente già sa che non sarà Monti a capeggiare lo schieramento di centrodestra. Del resto i sondaggi parlano chiaro e dimostrano fin troppo nettamente che Monti piace molto più a sinistra che a destra, cosa che evidentemente non interessa a coloro che, abbandonato Berlusconi, stanno oggi cercando disperatamente l’appoggio del professore bocconiano, senza interrogarsi sulla consistenza elettorale dell’eventuale lista che li vedrebbe protagonisti.

Berlusconi sa invece di poter contare su un consistente seguito, se dovesse ancora una volta essere convincente sui temi della “rivoluzione liberale”, della riduzione della pressione fiscale e della spesa pubblica, segnatamente quella riguardante il finanziamento dei partiti e della politica in generale. Ma quanto potrà essere ancora credibile, dopo che all’indomani dell’ultima vittoria elettorale le promesse come l’abolizione delle province e delle comunità montane sono rimaste lettera morta, mentre l’ex premier nemmeno ha tentato di vincere le resistenze alle riforme dell’alleato leghista, per rifugiarsi invece nelle feste (in)eleganti di Palazzo Grazioli, abbandonando la guida politica alla scalcagnata corte dei miracoli che si è formata attorno alla sua persona?

Questa è la grande sfida che Berlusconi si sta accingendo a intraprendere. Una sfida che appare quasi impossibile da vincere, ma chissà che el Burlador de Arcore non riesca ancora a stupirci.


Gerard Depardieu rinnega la Francia

Gerard_Depardieu---07

Si è proprio arrabbiato, il celebre attore Francese Gerard Depardieu, alla reazione con la quale i media e l’opinione pubblica transalpina hanno risposto alla sua decisione di trasferire la propria residenza in Belgio, per usufruire di un regime fiscale più favorevole di quello della madrepatria. Si è arrabbiato così tanto che, con una lettera aperta indirizzata al primo ministro Jan Marc Ayrault e pubblicata dal “Journal de Dimanche”, ha addirittura dichiarato di rinunciare alla cittadinanza Francese e che restituirà il passaporto e la “securitè sociale”, la tessera che da diritto all’assistenza sociale, perché ormai non sente più l’appartenenza allo Stato Francese, ma di considerarsi piuttosto un cittadino del mondo, secondo gli insegnamenti che il padre gli ha trasmesso fin dall’infanzia.

L’ira dell’attore è scaturita dalla pesantezza degli argomenti usati per criticarlo dopo la decisione di trasferirsi all’estero, spesso sfociati in veri e propri insulti. Una campagna di denigrazione dedicata al solo Depardieu (lo stesso Ayrolt aveva definito l’attore “patetico”) e mai a nessuno dei tanti milionari francesi che hanno preso la via di Nechin, la cittadina Belga conosciuta come il Buen Retiro dei ricchi Francesi in fuga dal fisco.

Il giovane Depardieu

Il giovane Depardieu

Una storia veramente singolare, se si considera che Gerard Depardieu che, nato in una famiglia di operai, è stato a lungo uno degli attori più amati dai francesi e spesso interprete di personaggi simbolo della classe operaia nazionale, almeno nella prima parte della sua lunga carriera. Ma dopo tanti anni, Depardieu compirà 64 anni il prossimo 27 Dicembre, qualcosa nel rapporto dell’attore e i suoi connazionali si è rotto. Da tempo, infatti, certe intemperanze, che sempre hanno fatto parte della sua natura, non gli sono state più perdonate e le critiche al suo indugiare bel bere e nel mangiare, che lo hanno trasformato nel perfetto Obelix cinematografico, lo perseguitano ormai costantemente.

La questione potrebbe essere liquidata come quella delle tante bizze di una star del cinema, se come Depardieu ha fatto notare non coinvolgesse tanti altri ricchi signori, molto meno famosi, che preferiscono trasferirsi qualche Km oltre la frontiera, cercando di pagare meno tasse possibile, in fuga da un sistema fiscale che appare essere sempre più punitivo, se l’attore affermato di aver versato allo Stato l’85% dei suoi guadagni, una percentuale veramente spropositata.

Depardieu-Obelix

Depardieu-Obelix

Lungi dall’essere una problema solo francese, la pressione fiscale troppo elevata fa nascere in quasi tutti gli Stati dell’Europa occidentale dei movimenti di resistenza all’aumento della tassazione che non possono essere liquidati tanto facilmente. Troppe volte gli stessi organi d’informazione anche da noi in Italia ne parlano con semplicistica sufficienza, magari attribuendo il famoso giudizio sul fisco troppo vorace che giustifica il tentativo del cittadino di eluderlo a Berlusconi, invece che ad Adam Smith, come sarebbe giusto fare, quando proprio in questo periodo di forte crescita della pressione fiscale (e di lunghe file per pagare l’ultima rata dell’Imu), si dovrebbe finalmente affrontare seriamente il problema di un sistema fiscale che non solo non aiuta ad uscire fuori dalla crisi economica, ma che concorre ad aggravarla. Sarebbe opportuno che proprio in questo momento di grave difficoltà economica il fisco si facesse più amico del contribuente e cercasse di evitare di intervenire con pesanti sanzioni per gli eventuali inadempienti, come tante volte è stato invece imputato ad Equitalia.
Anche perché l’eccessivo carico fiscale non solo fa fuggire all’estero quelli che possono farlo, persone fisiche o aziende, ma nutre la rabbia e il risentimento che di si vede togliere gran parte del frutto del proprio lavoro per finanziare il pozzo senza fondo di una spesa pubblica che nemmeno si riesce a capire cosa dovrebbe finanziare, dal momento che i servizi pubblici non fanno che peggiorare di anno in anno.
Il dubbio che lo Stato altro non faccia che distribuire denaro senza criterio, oltre che a mantenere i privilegi di una classe dirigente che vive ormai al di fuori della realtà della società che l’ha espressa o, come accade in questi mesi, non faccia altro che togliere ricchezza ai cittadini per ripianare i bilanci delle banche (in Italia dall’inizio della crisi sono fallite circa 15000 aziende, ma nessuna banca).

Gli Stati e i politici che li governano non sembrano però dell’avviso che sarebbe meglio cominciare a ripensare i principi con i quali organizzare la spesa pubblica e il welfare state, cavalcando invece il malcontento dei più esagitati, evocando la caccia alle streghe dell’evasione fiscale e la demonizzazione dei Depardieu di turno.

I


Da un Mario all’altro: Draghi uomo dell’anno per il Financial Times

Mario Draghi

Mario Draghi

La notizia era stata data dalle agenzie già nella notte tra Giovedì e Venerdì, e francamente ci saremmo aspettati di vederla sulle prime pagine di tutti i media nazionali con grande risalto, invece non è stato così, perché i principali giornali hanno preferito darla nelle pagine dedicate alla finanza e all’economia, non diciamo nascondendola, ma certamente evitando di darle il massimo risalto.
La ragione alla base di questa scelta è probabilmente quella che la motivazione con la quale il Financial Times ha nominato Mario Draghi, governatore della BCE, uomo dell’anno, avrebbe messo un pò in ombra il Mario che è oggi al centro delle manovre politiche nazionali e già primo ministro nominato dai cosiddetti “poteri forti”, che sono poi anche gli editori dei grandi giornali. Per  Time infatti è stata l’azione del governatore della BCE Draghi a salvare la moneta unica europea e a far abbassare gli spread dei titoli di stato Italiani e Spagnoli e non le manovre dei governi Monti e Rajoy, cosa peraltro ben nota a chi ha un minimo di conoscenza dei fatti che accadono in questi tempi bui che stiamo vivendo.
“Nell’ambito del nostro mandato, la BCE è pronta a fare tutto quello che serve per preservare l’euro. E credetemi, sarà abbastanza”. Questa l’affermazione di Draghi, rilasciata a Londra lo scorso 26 Luglio, che  ha quietato i mercati dei titoli di stato. Il governatore aveva con quella lanciato un avvertimento chiaro agli speculatori che la BCE avrebbe usato tutti i sui mezzi finanziari, praticamente illimitati, per salvaguardare la moneta unica europea, e quelli hanno recepito la minaccia.
Il punto è che il riconoscimento del quotidiano economico conferma come solo l’ente che emette moneta può controbattere efficacemente le manovre speculative sui mercati, mentre pochissimo possono i governi nazionali, compreso quello dei tecnici guidato da Monti. Questo vuol anche dire che la scelta del prossimo primo ministro italiano non può influire sul saggio d’interesse pagato dai titoli di stato nazionali, o non così pesantemente come viene oggi fatto credere. Del resto l’andamento dei mercati finanziari dopo le annunciate dimissioni di Monti lo dimostrano ampiamente: le quotazioni, dopo un iniziale impennata sono infatti ridiscese e si sono assestate sui livelli medi di questo periodo.

La nomina del FTconferma infine che agli anglo-americani piace Mario. Draghi e Monti sono in realtà le due facce della stessa medaglia, entrambi sono da sempre parte dell’apparato che sovraintende al funzionamento della finanza internazionale e oggi sono investiti della missione di riparare i suoi ingranaggi mal funzionanti, ma certamente non quella di fare gli interessi dei cittadini europei e italiani in particolare.
Il futuro è dunque già segnato e del resto tutti, da Berlusconi a Bersani sono consapevoli di questo, tanto che si contendono il professor Monti neanche fosse la belle Helene.


Gli economisti del Venerdì

alchimista

Se esiste a questo mondo una scienza fondata su basi talmente poco scientifiche da poter essere più considerata una pratica esoterica che una vera e propria scienza, questa è senza dubbio l’economica.
L’assunto sopra espresso è dimostrato dal fatto che nessun economista è mai stato capace di prevedere le variazioni dei cicli economici prima che accadessero, o almeno non in un lasso di tempo tale da poterle considerare previsioni non casuali, perché è evidente che se qualcuno annuncia per decenni una recessione, quando prima o poi questa si verificherà non si potrà affermare che la previsione si è avverata.

Gli economisti dovrebbero essere quindi trattati alla stregua di alchimisti che tentano con alterne fortune di scoprire le leggi dei meccanismi economici, costruendo modelli matematici su esperienze empiriche destinati fatalmente a fallire davanti ai mutamenti dovuti ai cambiamenti dello scenario preso in esame.

Quella economica è dunque una scienza empirica, imperfetta per sua natura e da maneggiare con estrema cura, eppure, come accadde per la psicanalisi qualche decennio or sono, sembra oggi essere divenuta quasi un gioco da salotto, al quale tanti sentono il dovere di partecipare.

bruno-tinti-360x400

Bruno Tinti

Uno di questi economisti dilettanti è il dottor Bruno Tinti, magistrato in pensione e oggi blogger del Fatto Quotidiano, che da qualche tempo ha abbandonato i temi giuridici per occuparsi di quelli economici, con risultati francamente discutibili. Talmente discutibili che si potrebbero definire i suoi articoli degli involontari scritti comici.

In realtà Tinti più che ragionare sull’economia si dedica a raccogliere informazioni sugli ultimi avvenimenti (grazie alla potenza della rete è un compito facilissimo) per poi selezionare accuratamente solo le informazioni che possono concorrere a sostenere la propria tesi precostituita.

La tesi di oggi, Venerdì 13 Dicembre 2013, è che L’Unione Europea ha salvato l’Italia dal disastro quando un anno fa, grazie anche alle risatine di Sarkozy e Merkel, quando la pressione della UE fece dimettere Silvio Berlusconi e salire a palazzo Chigi Mario Monti. Naturalmente Tinti non sa che le pressioni più che della UE era della finanza internazionale, che è quella che manovra gli spread sui titoli di stato e del resto l’ex magistrato evidentemente non si pone neanche il problema di controllare la giustezza delle informazioni raccolte, se non riesce ad evitare la pubblicazione di dati e concetti errati, quanto non falsi. Ma l’evidente intento di affossare il Banana, come se ce ne fosse ancora bisogno, e attribuire l’aureola del salvatore al professore della Bocconi vale la pena di rischiare qualche strafalcione che in fondo non moltissimi sono in grado di rilevare (vale la pena di segnalare quella dei soldi mancanti per pagare gli stipendi degli statali nell’Ottobre del 2001, che non sarebbero stati possibili da pagare neanche per il governo Monti, se non ci fossero stati soldi in cassa).

Ma in rete è facile farsi un seguito di fedeli discepoli, qualunque corbelleria si spacci, si parlasse pure di scie chimiche o di invasione dei rettiliani. Così, accanto a critiche, battute ironiche e sottolineature degli errori commessi, compaiono le entusiastiche lodi degli ammiratori del neo economista, non pochi dei quali si autodefiniscono essi stessi economisti, in un tripudio di scientificità mal compresa.

struzzo

Naturalmente è possibile che tanti di questi economisti del Venerdì siano diplomati o laureati in materie economiche, ma questo non fa di loro degli economisti, ma al massimo dei ragionieri e dei dottori commercialisti, che con tutto il rispetto per le onorevoli professioni, di scienza economica conoscono solo gli elementi basilari. Come non basta a darsi le arie di economisti riportare studi e dati di questo o quell’organismo e giudizi positivi sull’operato del governo Monti, quando si possono facilmente trovare in rete studi e dati di segno contrario come pure giudizi negativi sull’operato di Monti.

L’articolo pubblicato ieri sul quotidiano inglese The Telegraph, per esempio, potrebbe essere citato come l’epitaffio dell’esperienza montiana e della permanenza dell’Italia nell’Euro, ma le persone di media intelligenza, come noi e il dottor Tinti siamo (secondo la stessa affermazione dell’ex magistrato) dovremmo anche questo prendere cum grano salis e non spacciarlo per la verità assoluta.

 


Tutti amano Mario

mario_monti

Tutti lo vogliono e tutti lo cercano. Lo vogliono così tanto che Mario Monti è stato pure invitato al vertice del Partito Popolare Europeo, l’assise che riunisce tutti i leader dei partiti di ispirazione cattolica dell’Unione, anche se egli non è a capo di nessun partito, anzi non fa proprio parte di nessun partito.
L’accoglienza ricevuta è stata calorosissima e gli inviti a presentarsi alle prossime elezioni come candidato a premier per una formazione politica di area cattolica pare siano stati pressanti e da parte di tutti i convenuti, a cominciare da Angela Merkel, che però ha fatto smentire poco dopo dal portavoce del suo partito. Smentite a parte i segnali sono inequivocabili e la volontà di tutti in Europa e in America è quella di vedere in Italia un governo Monti bis, che continui a fare il lavoro iniziato lo scorso anno.
Lo ha capito benissimo anche Silvio Berlusconi, che presente all’incontro come capo del PDL non ha battuto ciglio davanti l’inaspettato ospite e si è prontamente offerto di appoggiare la sua candidatura, essendo prontissimo a fare il fatidico passo indietro. Il Cavalier Banana ha così confermato di non avere le idee chiare su cosa fare nel prossimo futuro, come confermato dall’uomo che forse più di ogni altro lo conosce, quel Marcello Dell’Utri che ieri, nella trasmissione Servizio Pubblico, ha confessato di non aver capito cosa abbia intenzione di fare il suo vecchio amico.

Confuso

Confuso

Parte del PDL, compresi quelli che fino a ieri erano stati i fedelissimi di Berlusconi, come Frattini, Straquadanio, Bertolini e Pecorella, sono pronti a far fronte comune con il “grande centro” di Casini e Montezemolo (mentre per Fini c’è qualche problema di accoglienza) e sostenere la candidatura di Monti, anche se non si riesce bene a comprendere chi diavolo dovrebbe votarli, quando lo stesso partito di Casini è scivolato a livelli di prefisso telefonico dopo l’abbraccio al professore.

Tutti amano Mario Monti, dunque, e lo dimostrano in tutti modi, facendo ben vedere che lo fanno. Tutti tranne gli Italiani, che invece pare proprio se lo vogliano togliere di torno il più presto possibile, prima che il professore varesino termini il suo lavoro, quello di sanare i bilanci del sistema bancario Europeo a spese dei contribuenti italiani.

Sembra però altamente improbabile scampare alla seconda edizione del governo dei tecnici, se Berlusconi offre il suo sostegno (in cambio naturalmente del famoso salvacondotto giudiziario) e il leader del centrosinistra già annuncia la sua apertura al centro Montiano subito dopo il prossimo voto.

20121214_debito_pubblico_euro

Intanto il lavoro del governo dei professori continua a produrre frutti: il debito pubblico nazionale ha sfondato la fatidica quota dei 2.000 miliardi di euro, nonostante la notevole crescita delle entrate tributarie, a conferma che le politiche economiche dettate dalla Germania e dalla UE e da tutti gli altri enti internazionali sono inefficaci, anzi se possibile concorrono ad aggravare la crisi. Già ieri la BCE aveva rinviato al 2014 l’inizio della ripresa economica, che il governo Monti aveva invece annunciato per il 2013.
Bruttissime previsioni anche per il numero dei lavoratori occupati, con il conseguente calo dei consumi, mentre si è già sicuri che qualcosa salirà: la pressione fiscali, che sembra destinata ormai a crescere fino alla definitiva messa in ginocchio del contribuente (ma del paese tutto, si può prevedere).

L’unica speranza per l’Italia negletta è un risultato elettorale rivoluzionario, che dia la vittoria ad un partito fuori dalle logiche del sistema, in modo che si possa arazzeria tutto. Vano è sperare che gli elettori disertino in massa le urne, dimostrando così che questa classe politica non rappresenta nessuno se non se stessa, per cui calziamo l’elmetto e prepariamoci al peggio.


Italia und Germania

Italia-und-Germania-Johann Friedrich Overbeck

Italia-und-Germania-Johann Friedrich Overbeck

Molte cose sono accadute in questi giorni di problemi tecnici che ci hanno impedito una regolare pubblicazione dei nostri articoli (anche oggi scriviamo senza sapere di poter mettere in rete i nostri sforzi letterari), ma tra le piroette del cavaliere Silvio Berlusconi, che è passato nel giro di poche ore dall’accusare il premier in carica Mario Monti di tutte le colpe dell’aggravamento della crisi ad offrirgli il ruolo di candidato a primo ministro nella lista del PDL, e le dichiarazioni di falsa sicurezza del vincitore delle primarie del centrosinistra Pierluigi Bersani, che oscilla giornalmente dall’offrire rami d’ulivo alla sinistra di Nichi Vendola e dall’assicurare che il suo eventuale governo rispetterà l’impegno preso dal governo Monti con i vertici dell’UE, configurando un’alleanza con il “grande centro” di Casini, Fini e Montezemolo, il vero fatto che ha conquistato la scena della politica (ma oseremmo dire della Storia contemporanea) è la continuazione del conflitto millenario che divide i paesi europei e che non vede ancora fine.

Ai meno informati potrebbe sembrare avventato, quasi una trama da romanzo ucronico, fissare l’inizio del conflitto tra i popoli del centro nord dell’Europa e quelli Mediterranei, ma non c’è in realtà alcun dubbio che nel Settembre dell’anno 9 della nostra epoca, l’imboscata che i Germani di Arminio tesero alle tre legioni di Publio Quintilio Varo, distruggendole completamente, impedì che la civiltà greco-romana si irradiasse nel Centro Europa, fissando per sempre sulle sponde del fiume Reno i confini tra due diversi modi: quello Latino-Mediterraneo (e poi cattolico) da una parte e quello Germanico (e poi Evangelico Protestante) dall’altro. Un confine poi identificato principalmente con i lunghissimi conflitti tra Francia e paesi tedeschi, finiti solo con la seconda guerra mondiale.

In questi 2000 anni che ci separano dall’evento disastroso avvenuto nelle cupe foreste tedesche, il rapporto dell’Italia e degli italiani con i Tedeschi è stato in genere conflittuale, anche se spesso le vicende storiche hanno portato i due popoli a ritrovarsi alleati. Italia e Germania hanno infatti trovato tardi, rispetto alle altre Nazioni, la dimensione di Stati Nazionali, impegnandosi pertanto fianco a fianco contro le potenze egemoni dell’epoca, fino a raggiungere l’obiettivo insieme, nel 1870, quando il neonato Regno D’Italia aggiunse al suo territorio Roma, la sua capitale naturale, e i Prussiani unificarono i rimanenti stati indipendenti tedeschi nell’Impero Germanico, o secondo Reich.

Wolfgang Goethe - Viaggio in Italia

Wolfgang Goethe – Viaggio in Italia

Molto più proficui e intensi furono però i rapporti culturali tra i due paesi, soprattutto attraverso i viaggi degli intellettuali del Nord sulle sponde del Mediterraneo, in quella che è considerata la culla della civiltà Europea, anche se spesso gli stessi ammiratori delle glorie antiche delle terre che visitavano non lesinavano di tranciare giudizi impietosi sul popolo che le abitava. Non mancavano in realtà eccezioni rimarchevoli di studiosi totalmente persi nell’Amore per la “Terra dei limoni” come fu il pittore Johann Friedrich Overbeck, autore del celebre dipinto “Italia und Germania”, tentativo artistico di un’unione che sembra impossibile tra due mondi che pur attraendosi finiscono infine per respingersi.

Le due ragazze dipinte da Overbeck come personificazioni delle due Nazioni esprimono i sentimenti dell’artista e le sue speranze sui rapporti che le due potrebbero intraprendere, eppure la evidente perplessità sulle avance della sua compagna che la bruna Italia mostra chiaramente, fanno intendere di come lo stesso pittore in cuor suo giudicasse improba la convivenza.

Un giudizio replicato ai giorni nostri anche da un artista di un paese lontanissimo come il Giappone e probabilmente neanche profondamente addentro alla storia europea. Il disegnatore Hidekaz Himaruya ha nel 2006 creato un singolare racconto Manga, “Axis Powers Hetalia” conosciuto semplicemente come “Hetalia”, in cui ripropone sotto una diversa ottica il rapporto di Amore (soprattutto della Germania, affascinato dal modello imperiale dell’antica Roma, verso l’Italia) e di attrazione e repulsione tra i due paesi (o i tre, dal momento che nel Manga Italia è rappresentata da due fratelli che esprimono il Nord e il Sud della penisola).
Il conflitto tra i due mondi è dunque visibile e conoscibile anche da occhi estranei e fatalmente si ripropone soprattutto nei momenti di crisi come quello che stiamo vivendo, perché come dicono gli anglosassoni nei momenti di espansione economica “si è troppo occupati per odiare”.

Hetalia - I Fratelli Italiani

Hetalia – I Fratelli Italiani

In questi nostri giorni non si fa che discutere se la Germania della cancelliera Angela Merkel si intromette nelle questioni interne italiane: una discussione sterile. La Merkel si intromette, come si intromettono la UE e gli USA, eppure non sono pochi ad essere contenti se le vicende nazionali siano regolate da potenze straniere.
Per comprendere il momento è d’aiuto la metafora che ha avanzato, volendo riferirsi in realtà ad altre vicende, il blogger del Fatto Quotidiano Alessandro Marescotti, al di là della veridicità discutibile delle vicende storiche richiamate, ricordando come nell’Italia Medioevale ci fosse sempre un partito disposto a lasciar occupare il Paese dallo Straniero, pur di non far vincere l’avversario interno.
Oggi siamo davanti allo stesso scenario, ma molti non riescono a comprendere chi, in questo caso, veste i panni dei Guelfi Bianchi e chi quelli dei Guelfi Neri e la cosa non è di poco conto se l’elettore vuole sostenere la parte politica che non intende svendere il patrimonio pubblico nazionale, come è stata obbligata la Grecia.

Eppure le informazioni sono alla portata di tutti: basta controllare chi, tra quanti si sono succeduti al governo in questi decenni ha rapporti diretti di subordinazione con istituti finanziari stranieri e chi, sempre in questi decenni, ha occupato cariche negli istituti internazionali che oggi dettano le condizioni al governo italiano. Non è difficile, come non è difficile capire che chiunque si proponga a governare l’Italia partendo dal rispetto della cosiddetta Agenda Monti si qualifichi come un Guelfo Nero (certo che tanti anni passati ad obbdire alle direttive arrivate da Mosca aiutano).

Tutto questo deve valere anche come ammonimento per chiunque pensi che lo studio della Storia, anche quella più antica, non sia importante per comprendere gli avvenimenti contemporanei e per progettare il futuro, se dopo 2000 anni possiamo rammaricarci della decisione di Augusto di non continuare il progetto di colonizzazione della Germania e di portare il confine dello Stato al fiume Elba. Una decisione che ha cambiato il corso degli eventi e, anche se non possiamo immaginare quali risultati avrebbe potuto far sortire, dobbiamo rimpiangere.